Etichette e giudizio

Che cosa sono le etichette

Le etichette sono il modo più veloce per semplificare realtà e per identificare le persone.

Sono la più rapida risposta ad uno stimolo che a volte ci dà la falsa sicurezza di avere tutto sotto controllo. In alcune situazioni ci rendono la vita più facile perché diventano la bussola con la quale orientarsi e reagire tramite risposte automatiche e apprese. Potrebbero quindi sembrare utili e positive ma quando le utilizziamo per tutto e soprattutto nei confronti di tutti, rischiamo di ottenere l’effetto contrario e pericoloso, irrispettoso dell’individualità e unicità delle persone. 

Ad esempio: se etichetto Tizio come “aggressivo” perché molti miei amici hanno avuto esperienze negative con lui, tenderò ad evitarlo. E questo potrebbe essere razionalizzato come positivo perché tutela la mia persona. Ma se un giorno mi dovessi trovare ad interagire con Tizio, potrei reagire con timore perché ormai l’ho etichettato come aggressivo anche se nei miei confronti si dovesse mostrare disponibile e tranquillo.
Così facendo rischierei di perdere l’occasione di scoprire che Tizio è anche una persona intelligente, un grande lavoratore e amante degli animali come me.

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Quando le etichette sono pericolose

Se si utilizzano le etichette in modo superficiale, esse non sono più di aiuto ma rischiano di categorizzare in modo sommario e non veritiero la realtà. 

Le etichette a volte si basano su stereotipi, aspettative o bias (distorsioni cognitive) che non vengono messi in discussione, verificati e modificati. Si possono così produrre pensieri e comportamenti altrettanto errati.

Ad esempio: etichettare un bambino come “pigro e svogliato” può portare il genitore ad avere atteggiamenti di rimprovero o di sfiducia verso di lui e gli insegnanti a mettere in dubbio le sue reali difficoltà nello svolgere un compito.

Le persone etichettate potrebbero arrivare ad interiorizzare i giudizi degli altri e a comportarsi “come gli altri vorrebbero che fossero”, rafforzando così la credenza/l’etichetta stessa.
Questo circolo vizioso incide negativamente sull’autostima, sul senso di efficacia e competenza.
In Psicologia questo “circolo vizioso” è noto come “Effetto Pigmalione” o “Effetto Rosenthal” dall’autore che lo ha studiato. 

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Effetto Pigmalione

L’Effetto Pigmalione o Effetto Rosenthal, studiato dallo psicologo tedesco Robert Rosenthal, è la realizzazione di una suggestione/aspettativa che porta: una persona a farla propria tanto che, tale aspettativa, influenza -in positivo o negativo- la sua autostima, il suo senso di efficacia, le sue azioni e i suoi pensieri. 
Negli anni ’60, l’equipe di Rosenthal e della Jacobson sottopose a un test d’intelligenza un gruppo di bambini di una scuola elementare. Successivamente e indipendentemente dai risultati ottenuti, scelse alcuni di quei bambini e li presentò alle insegnanti come i più intelligenti. L’anno successivo l’equipe tornò nella stessa scuola e scoprì che la resa scolastica dei bambini selezionati era stata maggiore e migliore rispetto a quella dei loro compagni. L’aspettativa che avessero un’intelligenza sopra la media aveva influenzato il loro rendimento e condizionato positivamente le insegnanti che li incentivavano.

Le aspettative negative e le etichette possono convincerci di avere caratteristiche altrettanto negative o difficoltà che vanno ad impattare sul benessere di chi le subisce. È quello che capita anche per alcuni gruppi sociali e minoranze che subiscono le proiezioni negative della maggioranza e tendono a conformarsi ad esse fino a confermarle e ad alimentare comportamenti discriminatori nei loro confronti.

In sociologia, tale effetto è noto come “Profezia che si autoavvera” (self fulfilling prophecy), elaborata dal sociologo statunitense Merton. Aspettativa che si autoadempie quando qualcuno, convinto o impaurito del verificarsi di eventi futuri, modifica -più o meno consapevolmente- il proprio comportamento in un modo da adeguarsi alla profezia.

Come affrontare l’Effetto Pigmalione quando è negativo:
-conoscere il fenomeno
-sviluppare un pensiero aperto e non giudicante  verso gli altri
-capire se le nostre aspettative verso gli altri sono realistiche o influenzate da pregiudizi 
-ascoltarsi e allinearsi ai propri bisogni
-prendere consapevolezza e migliorare il nostro dialogo interno
-comprendere le aspettative che hanno gli altri su di noi e chiederci se ci rappresentano
-allontanarci dalle aspettative irrealistiche o svalutanti che le persone hanno su di noi
-circondarci delle persone che hanno aspettative realistiche su di noi e stimolano/motivano la nostra crescita

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Etichette che diamo a noi stessi

Pensiamo anche alle etichette che diamo a noi stessə o a quelle che ci hanno sempre assegnato e che abbiamo fatto nostre: “sei sfigatə!”, “stai sempre male, sei debole”, “non capisci niente”, “sei troppo..magrə/grassə”, ecc. 

Quante di queste sono obiettivamente vere?

A quali crediamo solo perché ce le hanno sempre dette?

Le parole hanno un gran valore e, di conseguenza, un gran peso. Alcune possono essere macigni e possono condizionare i nostri pensieri, le nostre emozioni e orientare le nostre azioni. 

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Ti invito a riflettere

Prendiamo consapevolezza di ciò che ci diciamo e di quello che permettiamo agli altri di dirci. 

Regaliamoci il tempo per iniziare a modificare il nostro dialogo interno.

Ti lascio alcune riflessioni che potrebbero aiutarti.

Chiediti: quali sono le frasi che mi provocano maggior dolore?
Chi le pronuncia solitamente?
Quali aree toccano: corpo, competenze specifiche, relazioni, lavoro, famiglia, ..?
Se sono io a rivolgermele: che tono utilizzo? 

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Silvia Mimmotti, Psicologa

Bibliografia:
Boroditsky L. (2007) Russian blues reveal effects of language on color discrimination. Proc Natl Acad Sci USA; 104(19): 7780-7785.
Brown R. “Psicologia sociale dei gruppi”, Il Mulino, 2000.
Darley J.M., Gross P.H. (1983) A hypothesis-confirming bias in labeling effects. Journal of Personality and Social Psychology; 44(1): 20-33.
Yeager D.S. (2014) The far-reaching effects of believing people can change: implicit theories of personality shape stress, health, and achievement during adolescence. J Pers Soc Psychol; 106(6): 867-884.
Merton, R.K. (1970). La profezia che si autoavvera.
Rosenthal R., Jacobson L. (1992). Pygmalion in the classroom, Expanded edition, New York, Irvington.
Stoichita V. (2006) “L’effetto Pigmalione. Breve storia dei simulacri da Ovidio a Hitchcock”. Milano: Il Saggiatore.