Come abbiamo visto, l’elaborazione e l’accettazione della perdita di qualcuno è di per sè un evento doloroso. La pandemia da coronavirus che stiamo vivendo, con tutte le sue conseguenze, ha complicato il processo.
.
QUALI COMPLICAZIONI?
Come dice lo psicologo e psicoterapeuta Gelati le complicanze sono in 2 fasi: PRIMA e DOPO la perdita di qualcuno.
Ripercorriamo insieme che cosa succede prima della morte.
Un giorno, qualcuno in famiglia manifesta dei sintomi (rottura equilibrio e tranquillità); chi manifesta i sintomi viene portato via e resta da solo mentre gli altri rimangono nella dimensione familiare ma vengono isolati, anche emotivamente. La situazione è perciò fuori controllo e prendono piede i sentimenti di impotenza e paura.
Se la persona muore, spesso manca un corpo sul quale piangere (per evitare contagi, ci viene mostrata direttamente la bara o si procede alla cremazione), non ci sono riti nè, spesso, occasioni di saluto. La situazione rimane fuori controllo, mantenendo senso di impotenza e di colpa.
.
TRAUMA E LUTTO SOSPESO
In queste condizioni possono svilupparsi traumi e il lutto può rimanere ‘sospeso’.
Il trauma è dato dalle difficoltà nel processo di elaborazione perché la perdita non è avvenuta naturalmente, ci si scontra con la vulnerabilità (il virus è intangibile ma pericoloso), ci si misura con la “probabilità” di essere malati e la “possibilità” di morire a nostra volta. Sebbene la nostra sia una società per lo più individualista e l’elaborazione del lutto sia un processo molto personale, appena perdiamo una persona cara, “abbiamo bisogno di dirlo a qualcuno”. Questo perché la morte non si regge nè si riesce ad affrontare completamente da soli. Il lutto rimane sospeso a causa dall’impossibilità di esprimere il dolore e le emozioni legate alla morte di una persona cara.
.
CHE COSA FARE?
Sarebbe meglio muoversi “in anticipo” cercando di:
-conoscere il problema e quanto può accadere (non farsi cogliere impreparati, la paura immobilizza)
-informarsi (non evitare di farlo: stiamo vivendo questa situazione, ignorarla è impossibile)
-non far diventare questo un problema se non lo è
-non isolarsi socialmente e psicologicamente (la quarantena porta a distanza fisica, non facciamola diventare anche affettiva!)
-chiedere aiuto, se necessario.
.
PERCHÉ RIVOLGERSI ALLO PSICOLOGO?
Lo psicologo, prima di tutto, deve aver lavorato su se stesso per poter intervenire a sua volta sul lutto, la morte e il morire altrui.
Può essere di aiuto perché:
-accoglie e ascolta, in maniera competente, le domande e le paure
-aiuta a lavorare sul concetto di morte, terminalità, impotenza e fine vita
-interviene per ridurre i fattori di stress
-consente un recupero e una valorizzazione delle risorse della persona
-rafforza la resilienza
-permette la narrazione (ricostruzione della storia personale)
-favorisce, per quanto possibile, un recupero della fase di rito e di quella di commiato
-fa passare dal senso di impotenza alla consapevolezza dell’accaduto.
In casi di necessità e in presenza di traumi da disturbo post-traumatico da stress (PTSD, come nel caso degli operatori sanitari), i professionisti della psicologia dell’emergenza:
-lavorano sui sintomi di PTSD
-utilizzano strumenti, come l’EMDR.
Psicologa Silvia Mimmotti
(Sketch by: Dimitris Anastasiou)